martedì 24 aprile 2012

L'arte delle ombre di Tim Noble e Sue Webster

Tim Noble e Sue Webster sono una coppia di artisti britannici che lavorano come un duo e che, negli anni '90, hanno rivoluzionato il concetto di installazione artistica attraverso un modo di esprimersi estremamente particolare. Nel 2009 hanno ottenuto una laurea honoris causa alla Nottingham Trent University, per il loro contributo all'arte contemporanea britannica. Il loro lavoro mostra senza abbellimenti il volto della nostra società del consumismo e degli eccessi. Oltre a questo aspetto critico, nei loro lavori emerge la fusione degli opposti: maschio e femmina, cultura alta e cultura popolare, artigianato e spazzatura.
 
Le loro opere sono esposte nelle gallerie e nei musei più importanti del mondo, dal Denver Museum of Contemporary Art, al Rockfeller Plaza di New York fino alla National Portait Gallery di Londra. Essenzialmente, le loro opere principali possono essere divise in "Shadow works" (letteralmente "lavori di ombre") e "Light Works" ("lavori di luce")I due aspetti sono però connessi tra di loro come due lati dello stesso concetto, il lato luminoso e il lato oscuro. Questa interconnessione esprime le due diverse personalità presenti in ciascuno di noi, come sottolinea Sue Webster in un'intervista del 2007:



"We kept them both going side by side. There are two sides to the work; the shiny side and the dark side. That kind of reflects the two personalities within us."
("Li abbiamo fatti procedere parallelamente. Ci sono due lati del lavoro; quello luminoso e quello oscuro. Essi rappresentano le due diverse personalità che coesistono dentro di noi")

 Dirty White Trash (with Gulls), 1998
Le loro "Sculture di luce" riprendono alcuni dei simboli più noti della cultura pop inglese e americana e li rappresentano mediante luci al neon e incisioni, insistendo sulla contrapposizione odio/amore e richiamando i luoghi più celebri costellati da insegne luminose: Piccadilly Circus, Las Vegas e Times Square. Se questi lavori hanno un che di già visto, lo stesso non si può dire per le "Sculture d'ombra".

La prima cosa che colpisce un visitatore a contatto con queste installazioni è il mucchio di materiali eterogenei accatastati in maniera apparentemente casuale sul pavimento, dove lamiere, animali imbalsamati e immondizia costituiscono un assemblaggio curioso. In un secondo tempo, si rimane colpiti dall'ombra, che tutto d'un tratto dà un significato e un valore diversi all'intera scultura, che rivela una chiave di lettura prima nascosta. Queste composizioni informi, infatti, si trasformano in accurati e dettagliati autoritratti degli stessi artisti, proiettati come ombre sul muro retrostante grazie a una sapiente e studiata illuminazione. Attraverso le loro opere, Tim Noble e Sue Webster ci costringono a guardare quella spazzatura con occhi diversi, facendoci cambiare la percezione che ne abbiamo avuto al primo impatto, quando vi avevamo visto un semplice mucchio di lattine, cartoni di succo, barattoli e sacchetti vuoti di patatine.

Il primo lavoro di questo tipo, Miss Understood and Mr. Meanor, risale al 1997 e nasce dall'assemblaggio dell'immondizia degli stessi artisti. Il lavoro, che mostrava le teste impalate degli autori, venne purtroppo distrutto da un incendio nel 2004. Attraverso le loro "Sculture d'ombra", gli artisti riescono a fondere la componente astratta degli assemblaggi, che risultano apparentemente caotici, con una rappresentazione precisa e nitida, riscontrabile nelle ombre proiettate. Il secondo lavoro di questo genere, Dirty White Trash (with Gulls), è di un anno successivo e costituisce una tipologia particolare di autoritratto. Grazie a una singola fonte di luce che illumina ad arte la pila di immondizia, i rifiuti di sei mesi raccolti per la casa e sparsi apparentemente a casaccio sul pavimento si trasformano nella silhouette dei due artisti seduti schiena contro schiena, intenti a godersi un bicchiere di vino e una sigaretta. Nel dittico He/She compaiono le ombre di una figura maschile in piedi e una figura femminile accucciata, intenti ad espletare i propri bisogni fisiologici.

Dark Stuff, 2008
Un lavoro più recente che mi ha colpita molto è Dark Stuff, del 2008, che per quanto abbia degli aspetti macabri conserva una certa dose di forza evocativa. Gli artisti si ispirano per quest'opera alle collezioni del British Museum di Londra e propongono un'installazione realizzata con quasi 200 animali mummificati che, proiettata sul muro, mostra la silhouette delle teste dei due artisti impalate su dei bastoni appuntiti. In questo lavoro ci sono una serie di riferimenti al mondo dell'antico Egitto e in particolare alla pratica della mummificazione, che era molto diffusa anche per gli animali. Qui, come in altre opere, si può facilmente ritrovare un riferimento al mondo greco e al contesto del mito antico, che vengono utilizzati come materiale per far riflettere, fondendo il  sacro e il profano. Nelle opere di Tim Noble e Sue Webster, niente è come sembra e si può trovare il linguaggio della pubblicità mischiato al mito greco, combinati in una maniera innovativa che spesso sfida la nozione di buon gusto.

Questa particolare trasformazione da forme astratte a forme riconoscibili, messa in atto attraverso il rapporto tra la scultura e la sua ombra, rimanda all'idea di percezione che ognuno ha del mondo che lo circonda e ai significati che vi attribuisce. Nonostante l'originalità del lavoro dei due artisti, si può individuare un legame con la psicologia percettiva e con forme, linee e colori dell'astrattismo. Oltre a questo, rimane fondamentale l'apporto che la musica punk-rock ha avuto e continua ad avere nella loro visione del mondo.

Che li si ritenga geniali, irriverenti, di cattivo gusto o estremamente disgustosi, non si può negare che abbiano trovato un modo originale di esprimere le loro idee. Ed è proprio il caso di dirlo: "La spazzatura di un uomo può costituire il tesoro di un altro".
 
He/She (Diptyic), 2004





venerdì 20 aprile 2012

Lo psichedelico mondo di Alice visto da Adrian Piper

Adrian Piper è un'artista americana, che da più di vent'anni si occupa di arte concettuale, di performance e di filosofia. Le sue opere sono conosciute e stimate nel panorama artistico internazionale e sono esposte nei più importanti musei del mondo, da Chicago a Parigi, da New York a Los Angeles.
Sia dal punto di vista artistico che da quello filosofico, Adrian Piper ha a cuore il problema della percezione ed è proprio questo, secondo me, l'aspetto più interessante del suo lavoro. Se le sue opere più famose sono espressione di misura e di un ricercato minimalismo, questa definizione non calza minimamente per il trittico intitolato Alice in Wonderland, formato dai dipinti Alice Down the Rabbit Hole, The Mad Hatter's Tea Party e Alice and the Pack of Cards.

Adrian Piper; 
Alice Down the Rabbit Hole
1966
Questi curiosi esperimenti, che di misurato hanno ben poco, vennero scoperti da Robert del Principe ed esposti per la prima volta a Milano nel 2002 nella mostra "Adrian Piper Over the Edge: LSD Paintings and Drawings 1965-1967", che racconta una fase creativa particolare dell'artista. La caratteristica di queste opere, realizzate da Adrian Piper quando aveva circa 18 anni, è il fatto che vennero dipinte sotto l'effetto di LSD. L'accostamento tra il meraviglioso mondo di Alice e il mondo della droga psichedelica risulta decisamente azzeccato se si considera che negli anni '60 l'espressione "Chasing the White Rabbit" (letteralmente "segui il Coniglio Bianco") venne usata come slang per indicare l'assumere LSD (questo modo di dire è stato definitivamente consolidato grazie alla canzone dei Jefferson Airplaine "White Rabbit" del 1967). Non stupisce che nel pieno degli anni '60 Alice divenga la rappresentazione della psichedelia, visto e considerato il fatto che le sue vicende possono essere viste come un viaggio mentale in un mondo fantastico popolato da funghi magici e da un bruco gigante alle prese con un sempre fumante narghilè. Come la bambina dalla fervida fantasia vive un'avventura in un universo personalissimo creato da lei, Adrian Piper indaga il mondo di Alice attraverso l'LSD, che le permette di vedere le cose in modo diverso e di trasferire le sue percezioni sulla tela. L'arte psichedelica, al pari di Alice, diventa quindi la chiave per esplorare il labile confine  tra realtà e percezione, tra sensato e nonsense.
Adrian Piper; 
Alice and the Pack of Cards
1966


Adrian Piper; 
The Mad Hatter's Tea Party, 
1966
In questo trittico caratterizzato dai colori psichedelici e in forte contrasto che si attorcigliano in spirali digradanti, è facile vedere un universo alterato, reso brillante dagli stupefacenti e liberato dal concetto convenzionale di percezione. In Alice in Wonderland mi pare di trovare una notevole corrispondenza con il mondo della op art (optical art) degli anni '60, che gioca con le forme geometriche e il colore per creare un'illusione ottica di movimento.  Le geometrie ripetute e disposte in maniera strategica danno, infatti, lo stesso senso di instabilità  percettiva. Nella scelta personale dei colori, sembra quasi di individuare un'eco di quella libertà cromatica che aveva caratterizzato il movimento espressionista di inizio 1900, che si fonde qui con la ricerca di un'estetica acida e surreale, che avvicina queste opere alle copertine degli album di musica psichedelica molto in voga in questi anni.

Se devo essere sincera, non conoscevo Adrian Piper finchè non sono stata al Mart di Rovereto per vedere la (bellissima) mostra Alice in Wonderland - che tra parentesi consiglio a tutti di visitare perchè ne vale davvero la pena. Passeggiando per le sale, tra le opere che illustrano a loro modo il meraviglioso mondo di Alice, sono rimasta estremamente colpita da questi tre piccoli lavori, che spiccano come fari in mezzo agli altri: provare per credere.

mercoledì 18 aprile 2012

Benvenuti!

Ciao a tutti e benvenuti. 
Era da un po' che mi ronzava in testa quest'idea di aprire un blog tutto mio, dove condividere con chi ha voglia di leggermi le mie opinioni e le mie reazioni in merito all'arte contemporanea. Oggi, dopo un'interessante conferenza sulle professioni del web, mi sono detta che tutto sommato poteva essere un'esperienza costruttiva. Perciò, eccomi qui!
Premetto immediatamente che per arte CONTEMPORANEA intendo tutto ciò che è avvenuto in campo artistico a partire da Paul Cézanne, ovvero dalla metà dell'Ottocento circa in poi. Quello che c'è prima lo considero arte moderna.
L'idea di scrivere un blog che spiegi l'arte contemporanea secondo me mi è venuta dopo aver sentito l'ennesima signora di mezz'età che, di fronte alle opere esposte in una mostra, si dichiarava perplessa per la mancanza di una spiegazione. In effetti, mi è capitato più volte di sentire persone (anche giovani) che lamentano l'assenza di indicazioni riguardo al proprio lavoro da parte degli stessi artisti che, a mio avviso, spesso utilizzano la scusa del "vedici tu quello che vuoi vedere" per la paura di risultare meno interessanti. Visto che negli anni di studio mi sono resa conto che le opere d'arte si apprezzano molto di più una volta capite, ho pensato che potevo provare a dare il mio (seppur limitato) contributo a questa materia vista ancora con sospetto e spesso incompresa. 
Prima di cominciare, voglio mettere in chiaro che non sono un'esperta di arte contemporanea, seppur mi sia laureata poche settimane fa proprio in questa materia, con una tesi sul "primitivismo" di Carlo Carrà (1915-1916). Le opinioni che troverete in questo mio blog sono frutto di una mia riflessione personale e sicuramente passibili di critiche. Se avete un'opinione diversa dalla mia, commentate: sono contenta di discutere con chiunque, nel pieno rispetto reciproco.